Vedere è non sapere. Sensazioni Partecipanti.

E se non volessimo stare solo a guardare?

Pochi giorni fa ero a Londra e camminavo con i piedi nella sabbia. Ero alla TATE, passeggiavo dentro Tropicalia di Helio Oiticica, un’installazione creata per sperimentare esperienze vive, incontri poetici.
Arte corporea che fa mettere in gioco gli osservatori, li trasforma da spettatori a partecipanti. Un paesaggio, in cui vagabondare tra sabbia e ghiaia, cercando tra le foglie oggetti e pensieri, suoni tropicali e baracche improvvisate. L’autore ha presentato quest’opera per la prima volta nel 1967 a Rio, con l’intento di affrontare “il problema dell’immagine”, così chiamava la saturazione dell’immaginario creato dai mass-media, che presentava il Brasile con il cliché del paradiso tropicale.

Il problema dell’immagine. La “visione” del mondo, l’egemonia della vista sul sistema simbolico occidentale. Sì interpreta il mondo come spettacolo visuale e molto spesso si dimenticano o si evitano le altre esperienze sensoriali che può offrirci la realtà. Scrolling Culture: guardare, guardare, scorrere velocemente, senza soffermarsi, cercando emozioni che non sono mai come le vorremmo. E allora si ricomincia.

Ma non è sempre stato così. Per i latini il verbo sāpere, significava non solo “essere saggio”, ma anche “gustare”, “assaporare” e “avere odore”. Avevano un’idea della conoscenza, non solo come osservazione: l’uomo non era spettatore, ma partecipe di un’esperienza totalizzante. I sensi accesi! Pronti a percepire la realtà.

La vista è l’ultimo dei cinque sensi a raggiungere la completezza: altri sensi si sviluppano molto prima e accompagnano l’uomo fin dai primi momenti di vita; basti pensare all’olfatto, che si attiva già durante i primi mesi di gestazione, ed è più sviluppato nei bambini rispetto che negli adulti.
Tramite l’olfatto avviene la percezione dell’ambiente più immediata possibile. In modo inconscio ciò che respiriamo, annusiamo, influenza il modo in cui costruiamo noi stessi e il mondo.  Penso ai fatti correlati al rifiuto o all’accettazione dell’altro. Oppure, più romanticamente, alle scelte di cuore, che spesso sono anche scelte di naso. Anche baciarsi è un fatto sensoriale e culturale. In Thailandia, e in molti paesi dell’Asia, baciarsi significa anche annusarsi: ci si bacia premendo delicatamente il naso su una guancia e ispirando profondamente.

L’antropologia sensoriale nasce, con David Howes, verso la fine degli anni Ottanta, proprio per indagare queste pratiche e si propone di interpretare le culture come modi di percepire il mondo: mettersi in discussione e saper modulare i propri modelli percettivi mettendoli in relazione con quelli delle culture diverse dalla propria.
Tra i Desana della foresta amazzonica in Colombia la conoscenza viene identificata con il verbo mahsìri yìri che potremmo tradurre con “sentire è sapere è agire”, mentre il suo contrario è inya mahsìbiri che significa “vedere è non sapere” (Reichel-Dolmatoff 1981: VII).

La metafora dell’Illuminismo, che segna la fiducia nella ragione come “lume rischiaratore delle tenebre” in queste società risulta rovesciata: vedere e conoscere non sono più sinonimi, ma anzi opposti e il senso fondamentale per l’interazione con gli altri e con il mondo è l’udito.

È l’eterogeneità sensoriale del mondo: sensi diversi, mondi diversi.
I processi sensoriali contribuiscono alla creazione della nostra identità, danno significato alla realtà, attraverso di essi interpretiamo il mondo, e poiché la percezione è in parte influenzata culturalmente e socialmente anche la nostra interpretazione del mondo è costruita attraverso schemi sensoriali modellati dal contesto socio-culturale. Le Breton scrive:

Vi è la foresta del cercatore di funghi e quella di chi ama passeggiare, la foresta del fuggitivo […] quella degli innamorati […]. Mille foreste in una stessa foresta, mille verità di un medesimo mistero […]. Non esiste una verità della foresta, bensì una moltitudine di percezioni a seconda delle prospettive, delle aspettative, della diversa appartenenza sociale e culturale (Le Breton 2007: XII).

Rifiutare ogni modello universalistico, sia esso visuale oppure no; avvicinarsi ad altri schemi percettivi liberi da preconcetti. Uscire dai canoni visivi ed estetici imposti dalla modernità. Accettare di mettersi in gioco. Come in Tropicalia, partecipare in maniera emozionale, permettersi di essere umani. E sentire.

Mi piace il verbo sentire…
Sentire il rumore del mare,
sentirne l’odore.
Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra,
sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco.

Sentire l’odore di chi ami,
sentirne la voce
e sentirlo col cuore.
Sentire è il verbo delle emozioni,
ci si sdraia sulla schiena del mondo
e si sente…

Alda Merini

Bibliografia:

– Howes D., The variety of sensory experience, University of Toronto Press, Toronto, 1991
– Gusman A., Antropologia dell’olfatto, Laterza, Roma 2004
– Le Breton D., Il sapore del mondo, Cortina, Milano, 2007
– Matera V., Antropologia delle sensazioni, La ricerca folklorica numero 45, Grafo, Brescia, 2002
– Ong W.,World as a View and World as a Event, 1977
– Reichel-Dolmatoff G., Brain and mind in Desana Shamanism, in Journal of Latin American Lore, VII, 1981

A cura di Beatrice Balzarotti – laureata in Antropologia ed Etnologia. Studia i linguaggi della comunicazione da una prospettiva culturale, sensoriale ed emozionale.